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E' la figura ­nello specifico il viso ­ il soggetto d'elezione per Alberto Ciro Taddei, che usa la matita per un lavoro di indagine fino all'ultimo dettaglio sulla pelle e sull'anima.

Una nitida oggettività ricostruisce nei dettagli di abbigliamento, pettinatura e luci ritratti di persone di facile identificazione, con le caratteristiche che si imprimono nelle memorie e fanno di una persona “quel” soggetto al quale la mente altrui ritorna.
Attraverso i media i ritratti tornano oggi a noi più volte, passando per tecniche disparate, come proiezioni dell'artista, dell'uomo, della società e dell'epoca in cui viviamo.
Quando ci rendiamo consapevoli dei condizionamenti imposti dai modelli sociali, riconosciamo gli stereotipi che guidano la nostra impressione degli altri ed i caratteri in cui identifichiamo un'anima, di per se invisibile (esistente?), come qualcosa di reale ed evidente; è attraverso questi che l'artista opera su chi guarda, presentandoci personaggi come Lilly Gruber, Tania Cagnotto, Reinhold Messner.

Nella serie di opere in mostra i ritratti sono quasi tutti frontali, secondo la concezione percettiva, che interpreta la teoria dell'Alberti della finestra prospettica centrale come forma simbolica.

Risale al Rinascimento l'invenzione del quadro distinto dall'immagine sacra e strumento di affermazione della posizione raggiunta, diventa per la prima volta un oggetto alla moda, sia esso ritratto, paesaggio o natura morta, ma comunque fino al ventesimo secolo quadro e rappresentazione del mondo hanno dialogato nel senso di una riproduzione oggettiva dell'esistente: la presenza corporea dell'osservatore è separata dal rappresentato, il quadro è luogo fisico in cui rappresentare il mondo.
Nel XX secolo cambia la produzione e ricezione delle immagini e mentre il quadro, già percepito come oggetto limite fra realtà e sua rappresentazione pittorica, volge alla sperimentazione e traccia percorsi senza un al di là illusionistico, delegato piuttosto alla fotografia. Anche il fotografo non è oggettivo, imposta il suo lavoro su alcune linee, che necessariamente si contaminano con la ricchezza di stili e ideologie radicate nella sua cultura; guarda allo sperimentalismo artistico di avanguardie e transavanguardie e alla scossa di colori e di culture altre, spostando i limiti del fare progettuale: reportage sociale, ricerca formale classico­estetizzante, consacrazione aulica dell'arte, business della comunicazione.

L'esplosione della fotografia, che si è affermata come scrittura fondante della cultura contemporanea, si connette al frantumarsi delle arti, applicata al complesso sistema della comunicazione contemporanea, ne supporta e sconta i veloci mutamenti di gusto. Proprio la fotografia commerciale, equivalente odierno della creazione artistica su committenza del rinascimento, ha contribuito in maniera decisiva, insieme alla fotografia di ricerca artistico- espressiva, alla rapida evoluzione della scrittura fotografica e della visione contemporanea.

Alberto Ciro Taddei usa appieno questi linguaggi, coniugando l'attualità dello scatto, con la stupefacente abilità del disegno più classico.
Dice di esser stato folgorato dall'ammirazione e dal compiacimento che un artigiano nel corso di una dimostrazione a Burano, l'isola del vetro, manifestava per l'oggetto appena creato, pago della sua bellezza e dimentico degli spettatori. Così Taddei si impegna in una ricerca senza fine, andando avanti per ore e giorni nello studio dei particolari sul versante linguistico del disegno, con le matite nei ritratti in bianco e nero dal carattere umanistico, con le matite colorate per le venature dei legni delle baite, e porta avanti immagini mai ritenute complete. Somigliano a fotografie?
Ebbene non avrebbe senso ignorare che da oltre centocinquant'anni la fotografia esiste ed è fondante nella nostra attuale lettura del mondo. Taddei aggiunge ciò che cerca, la consapevolezza dell'oggetto magistrale, che veramente pochi saprebbero fare.